Nel 1977 Valdo Immovilli ha pubblicato “Mi faranno santo”,
con le edizioni Geiger, fondate a Torino da Adriano Spatola e suo fratello
Maurizio, con la prefazione di Giulia Niccolai.
Nel romanzo “Il cacciatore di mosche” è raccontato come
avvenne l’incontro con Spatola:
“ Mi ricordo di quando incontrai Giulio la prima volta.
Avevamo letto un articolo su una rivista, dove si parlava di lui e si diceva
che abitava da quelle parti, così, assieme a Dante che era allora il mio
migliore amico, andammo a cercarlo.
Giulio, oltre a essere un riconosciuto e apprezzato poeta,
pubblicava una rivista e una piccola collana di libri che curava con amorevole
attenzione.Dante e io, ovviamente, portammo con noi le nostre poesie; dopo averle esaminate,
Giulio non disse nulla, un nulla che nell’ansia dell’attesa risuonò nella
nostra mente come un tutto; tutto il peggio che ci potesse dire. Accortosi poi
del nostro scoraggiamento cercò di rincuorarci ma Dante non si rincuorò affatto
e da quel giorno non lo vidi più. Io apprezzai la sincerità, fu così che Giulio
divenne il mio maestro di poesia, ed io lo ricambiai facendogli da autista e da maestro di musica,
su e giù per le colline da un’osteria all’altra, cantando a squarciagola in
perfetta disarmonia. Nelle lunghe serate invernali tutto era poesia: il cane,
il gatto, il fuoco del camino, la neve sugli alberi secchi. “
(Per inciso: Il cacciatore di
mosche è, anche, il titolo di un’opera di Spatola pubblicata nell’’80 in
collaborazione con Giuliano Dellacasa, e nell’intervista che segue è spiegata
l’origine del nome).
In seguito Valdo Immovilli ha
pubblicato “Parigi e le altre”, con le edizioni del laboratorio, di Modena, e infine il romanzo Il cacciatore di mosche,
con lo pseudonimo di Aldo Komenov.
Alla morte di Spatola, avvenuta
nel 1988, ha scritto per lui la poesia Il fuochista, pubblicata nel ’93 con le
edizioni del Laboratorio di Modena nell’antologia curata da Carlo Alberto
Sitta, I nomi del fuoco.
Il fuochista
Andata e ritorno, i passi nella neve
la distanza tra la casa e il fiume.
Non c’è più il camino acceso.
L’odore del fumo, il gatto che fa le fusa.
Non avrei mai scritto per te una poesia, prima:
non è mai stato facile sentire la tua assenza.
Andata e ritorno i passi nella neve
la distanza tra la casa e il fiume.
Mi mancano le tue zampate di orso fuochista
i tuoi amabili rigurgiti mattinieri
e i tuoi latrati notturni, quando fingevi d’essere ubriaco.
Ne hai scolate di bottiglie per ingannarci
e non posso credere che hai scolato l’ultima.
La morte è un fatto quotidiano.
La vita rimane l’eterno dialogo tra noi
e l’altro, colui che tutto sa ma poco concede.
1) Il tuo approccio alla poesia è avvenuto così come raccontato nella
pagina iniziale de Il cacciatore di mosche?
Diciamo di no e anche
di sì. Avevo già scritto molti quaderni, quaderni a righe di quelli rilegati
con le molle, (dovrei ancora averli da qualche parte); diciamo tuttavia che
dall’incontro con Spatola, da quel momento in poi, molte cose sono cambiate. E
quell’incontro è avvenuto, più o meno, come descritto nel romanzo “Il
cacciatore di mosche”, anche se Giulio ha ben poco a che vedere con Adriano.
Adriano diede un’
occhiata, assai veloce, alle poesie che io e Dante gli avevamo portato e poi ci
disse che potevamo buttarle nel camino. Tempo dopo mi arrivò un bigliettino
dove mi diceva che avrebbe pubblicato due miei testi sul numero di Tam Tam in
uscita.
Ed io ero contento di sapere
che non li aveva bruciati.
Da lì iniziai a
frequentarlo, ma in tutto il tempo che ci siamo frequentati, non mi ricordo di
avere mai fatto con Adriano dei discorsi circa la poesia.
2) Come sei entrato nella redazione di Tam Tam?
Anche questo
corrisponde al romanzo, ho iniziano a frequentare il Mulino regolarmente, mi
fermavo a volte per qualche giorno, aiutavo in tipografia. Ero senz’altro tra i
più giovani, altri andavano e venivano. Come ho detto, Adriano non è Giulio,
non era un personaggio “facile”. Aggiungo anche che Giulia non è Livia e Selina
non è mai stata da quelle parti. Lo dico perché qualcuno che conosceva quell’ambiente,
si aspettava di leggere nel romanzo una specie di cronaca di quegli eventi. Non
era mia intenzione. Io volevo scrivere un romanzo e raccontare cose, che poco o
nulla hanno a che fare con quella realtà.
3) Com'era l'atmosfera a Mulino di Bazzano?
Se parliamo di
atmosfera allora sì, allora qualcosa corrisponde al romanzo, e forse è da lì,
da quella atmosfera che è nata l’ispirazione, o almeno la voglia di scrivere,
di raccontare. Naturalmente è la “mia” atmosfera, e per capire bisognerebbe
leggere il capitolo “osteria” o “la tipografia” o “ dal pastore, o altro.
L’atmosfera del romanzo è tutta un riverbero dell’ atmosfera che io ho vissuto in quei giorni. Ripeto, che io ho vissuto, e per la quale non posso negare una notevole nostalgia. Ma credo sia difficile trovare qualcuno che non ha nostalgia della sua giovinezza.
L’atmosfera del romanzo è tutta un riverbero dell’ atmosfera che io ho vissuto in quei giorni. Ripeto, che io ho vissuto, e per la quale non posso negare una notevole nostalgia. Ma credo sia difficile trovare qualcuno che non ha nostalgia della sua giovinezza.
4) Quali erano i poeti più assidui ? come si
svolgevano le riunioni?
Io mi ricordo in
particolare di Sitta, Marie Luise Lantengre, Bisinger, Betrametti e molti
altri. A quei tempi, Mulino di Bazzano era veramente un punto di riferimento a
livello internazionale per la poesia, ma basta vedere un numero di Tam Tam per
rendersene conto.
5) Ricordi qualche episodio particolare?
Tantissimi. E mi spiace
un po’ di non averli utilizzati per il romanzo. Ma era impossibile, perché,
come detto, Adriano non è Giulio. E il
mio intendo era parlare di Giulio. Tuttavia i ricordi sono davvero tanti.
Adriano era imprevedibile, amava tutto ciò che poteva rompere la monotonia del
quotidiano. Quando non era ubriaco era una persona deliziosa, questo succedeva
soltanto al mattino presto, appena sveglio, dunque era necessario abitare lì
per sorprenderlo in quella condizione. Comunque per lui era indispensabile
sempre e comunque essere al centro dell’attenzione, cosa gli veniva sempre in un
modo o in un altro, abbastanza naturale.
“ Una sera incontrai
Adriano e altri, in una osteria, a Reggio Emilia. Era molto che non lo vedevo.
Io ero in compagnia di un’amica e mi fermai con loro solo il tempo di un
saluto. Il giorno dopo leggo sul giornale “ Il poeta Adriano Spatola
arrestato“. Leggo l’articolo e mi scappa da ridere: aveva preso a parolacce un
vigile urbano. I particolari non me li ricordo, mi ricordo però che andai a
trovarlo qualche giorno dopo. Mi raccontò la storia, ed era felice come una Pasqua,
l’esperienza di una notte ( o forse due o tre ) in carcere gli mancava, e
l’aveva esaltato.
6) Com'è nata la poesia sull'orso fuochista ?
Ho scritto quella
poesia il giorno in cui ho saputo della morte di Adriano. Devo tuttavia
aggiungere una cosa: in quella poesia ci sono dei riferimenti molto precisi ad
un testo di Gerald Bisinger, in un certo senso è un omaggio a Bisinger che per
me è stato ed è tutt’ora un punto di riferimento principale. Con Bisinger ci
siamo incontrati al Mulino di sfuggita un paio di volte e non c’è mai stato un
dialogo preciso diretto. Tuttavia ci sono, e lui l’ha visto prima di me, molto
punti in comune tra il nostro modo di scrivere e intendere la poesia. Bisinger,
ha tradotto quasi tutte le mie poesie, e le ha pubblicate ovunque gli capitasse
e senza dirmi nulla, ed è stata per me, giovane “poeta” una sorpresa notevole
vedermi pubblicato in antologie da lui curate assieme ai più importanti poeti del
tempo, a livello internazionale. Una volta mi sono arrivati 500 Marchi dalla
Germania, da una radio nazionale, dove erano state lette alcune mie poesie.
7) Cosa ti è rimasto di quei fermenti?
Molta nostalgia, mi è
capitato di passare di là, ultimamente. Non posso negare che ho sentito un
tuffo al cuore nel vedere le finestre chiuse. Mi aspettavo di intravedere
Giulia dietro la finestra, mi aspettavo che il cane mi corresse incontro, e il
sorriso indefinibile di Adriano in canottiera, già mezzo ubriaco a metà
mattina.
8) Com'è nata l'idea del Cacciatore di mosche?
Tutto è nato dal
titolo. Una sera, eravamo intenti alla solita battaglia con le mosche e mi è
venuta in mente quella frase. Adriano disse che avrebbe scritto una poesia
intitolata “il cacciatore di mosche” con sotto scritto “ titolo rubato”. Io scrissi quasi subito un racconto con quel
titolo, un breve racconto che corrisponde più o meno a quello che poi divenne
il prologo del romanzo. Già allora scrissi anche il primo capitolo. Tutto il
resto è recente.
9) Perché hai utilizzato uno pseudonimo per il Cacciatore
di mosche?
Non c’è stata una
premeditazione, è venuto da sé. Il romanzo è narrato da Aldo in prima persona,
all’inizio io e Aldo eravamo la stessa cosa, poi lui è diventato Komenov ed ha
preso un po’ le distanze da me, si è messo a pensare e a scrivere in proprio,
per cui mi è sembrano onesto che fosse lui a firmare il romanzo.
10) Dove va la poesia ?
Mah! J.
La poesia va dove tira il vento. Posso dirti dove soffio io.
La poesia va dove tira il vento. Posso dirti dove soffio io.
Per me tutto il
significato della poesia, è racchiuso in pochi versi:
Charles
Baudelaire
“ Signore, dammi la
forza e il coraggio di contemplare
il mio cuore e la mia
anima senza disgusto”
Quando ho letto questi versi la prima volta sono
rimasto colpito profondamente. Benché fossi giovanissimo c’era in me una urgenza:
l’urgenza di guardarmi dentro, di fare un po’ di luce in quella immensa
confusione. Tuttavia mi ricordo che non capivo il termine “disgusto” avevo più
o meno sedici anni e in me, a quella età,
di disgustoso non c’era obbiettivamente nulla. Tuttavia compresi che la
poesia poteva essere, era, lo strumento che cercavo, di cui avevo bisogno per
la mia ricerca. E se avessi mai avuto bisogno di una conferma avrei potuto
trovarla in questi splendidi e inequivocabili versi di Ungaretti.
“Quando trovo
“Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia
vita
come un abisso”
Non è
un caso se questo versi vengono ripresi e approfonditi in un discorso sulla
poesia tra Aldo e Giulio, nel romanzo “Il cacciatore di mosche” .
Per me la poesia è parte integrande di un più ampio percorso che tocca ogni aspetto della vita ed ha come scopo la ricerca interiore e la conoscenza di se stessi. Lo scopo della poesia non è, tuttavia, trovare il nome a qualcosa che non ha nome, e per tanto non può essere conosciuto e tanto meno definito. Lo scopo della poesia è amare e fare amare quella “cosa” infinita, e descriverne l’odore, il sapore, lasciare una traccia, delle tracce, affinché si sappia che quella “cosa” esiste, confermarne l’esistenza.
Per me la poesia è parte integrande di un più ampio percorso che tocca ogni aspetto della vita ed ha come scopo la ricerca interiore e la conoscenza di se stessi. Lo scopo della poesia non è, tuttavia, trovare il nome a qualcosa che non ha nome, e per tanto non può essere conosciuto e tanto meno definito. Lo scopo della poesia è amare e fare amare quella “cosa” infinita, e descriverne l’odore, il sapore, lasciare una traccia, delle tracce, affinché si sappia che quella “cosa” esiste, confermarne l’esistenza.
11) E l'editoria legata alla poesia?
La poesia non ha un
mercato, ed è una fortuna, senza mercato è molto più libera. Le moderne
tecnologie creano già un mutamento colossale. Credo debba esserci un legame
diretto tra autori e lettori.
Ognuno mette in rete i
suoi testi e chi è interessato se li prende.
Purtroppo c’è una invasione tale di poeti e poesie che il rischio è quello della dispersione.
Purtroppo c’è una invasione tale di poeti e poesie che il rischio è quello della dispersione.
Vedremo come andrà a
finire.